GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
Per Aspera Ad Veritatem n.9
L'Islam e sua percezione della sicurezza europea e mediterranea

Valeria PIACENTINI




1. Se si attribuisce alla Repubblica Federale Russa una dimensione europea, allora si deve ammettere che l'Europa è circondata da paesi che si dichiarano ufficialmente "islamici" oppure da Paesi dove l'Islam rappresenta oggi una componente comunque rilevante "anche" sul piano politico.
Questo "accerchiamento" riporta alla ben nota opera di Huntington "Clash of Civilizations", e al suo studio successivo - per molti versi ancora più intrigante - "And if not clash of civilizations, then what?", i quali hanno avuto larga diffusione in tutto il mondo islamico asiatico ed europeo, accendendo un dibattito sia interno all'Islam stesso che fra mondo e cultura islamica e "occidente". Si tratta di un dibattito tutt'altro che sereno, dai toni spesso accesi e aggressivi (ne è esempio il recentissimo scritto di Seyyd), dove esasperazione e rivendicazioni fanno troppo spesso velo alla obiettività e alla distaccata valutazione del reale.
Il mondo islamico - oggi - recepisce le parole di Huntington come una minaccia nei propri confronti, una aggressività che, coinvolgendo l'Occidente tutto, Europa inclusa, finirà con l'esasperare gli animi, strappare il velo della obiettiva e serena critica politica, spezzare quel fragile dialogo che purtuttavia esiste e vuol proseguire con tenacia, annegandolo in un nuovo lago di sangue, da cui risorgano gli antichi miti delle crociate, della oppressione e del più bieco sfruttamento coloniali. Ma è proprio necessario arrivare a una visione così catastrofica?
Esaminando senza ira e senza prevenzioni, bensì con paziente consapevolezza della dimensione reale dei problemi, la situazione che si è venuta determinando oggi, non mi sembra che esistano ragioni obiettive per condividere le catastrofiche tesi di Huntington.
Certamente l'Islam è una civiltà, una grande civiltà; ha una sua cultura, un proprio modello di concepire l'uomo e l'universo che lo circonda e nel quale egli vive, ha una sua propria visione della vita e della storia. L'islam è una religione totalitaria e totalizzante, in cui il religioso, il politico, il sociale e l'economico sono una cosa sola, inscindibile, pianificata e regolata da Dio secondo quei principi universali e immutabili da Lui posti a limite dell'agire umano (hadd). E così, da questi stessi principi deriva anche quel modello di "statualità" che è alla base di ogni stato che si definisca "islamico". E sarà proprio l'astrattezza ideale del pensiero di al-Mawardi e di Ibn Taymiyyah a far sì che questo modello abbia avuto in passato - ed abbia ancora oggi - largo seguito fra talune correnti del cosiddetto "riformismo islamico", divenendo quasi un simbolo ideale/ideologico del più alto passato dell'Islam cui ispirarsi e conformarsi. Già l'antichissimo Patto Medinese (623 d.C.) - primitivo abbozzo di costituzione politica - rivela le connotazioni rigidamente teocratiche dello stato islamico, e contiene in nuce quelli che saranno i principi distintivi dei suoi pilastri fondamentali, ovverosia i termini di "sovranità" "autorità" "potere/poteri" "forza". Questo è il punto cardine di tutta la speculazione politologico-religiosa che anima il mondo musulmano ancora oggi.
Titolare della Sovranità è Dio, il quale, solo, può legittimare l'Autorità. Tale legittimazione avviene in maniera indiretta; il fatto di svolgere un determinato Servizio nei confronti della Società è il fatto che conferisce al soggetto i Poteri propri della Autorità quali fissati in maniera una, unica, inequivocabile e immutabile da Dio tramite la Rivelazione e le sue forme dirette e indirette di cognizione. L'Autorità è quindi concepita come un Servizio; essa usa il potere per raggiungere e mantenere il benessere reale della società, ovvero della "Comunità dei veri Credenti". La Forza, nel senso più ampio del termine, è l'unico principio sperimentalmente rilevabile dell'Autorità. Lo Stato è un apparato istituzionale attraverso il quale l'Autorità esercita i suoi Poteri. Lo Stato è etico, sia pure secondo un modello relativo; esso è enunciatore, tutore e promotore dei valori che lo trascendono; questi infatti non dipendono da lui, bensì da Dio, in quanto prefissati da Dio: sono principi/leggi immutabili; lo Stato/Autorità potrà solo emanare "regolamenti" (qanun) conformi a tali principi. Il Potere è pertanto un potere esclusivamente esecutivo-amministrativo-militare; all'Autorità/Stato non è dato di entrare nel merito della shari'ah, ma soltanto di farne applicare i principi, e di difendere la fede, la comunità dei credenti e il territorio dell'Islam quando minacciati dall'esterno e dall'interno.
Se si pone questo modello di statualità di fronte ai modelli secolari dell'Occidente, certamente si tratta di concezioni fra loro profondamente diverse. Purtuttavia, la storia ci insegna che - aldilà di diversità culturali - è pur sempre possibile un dialogo, basato sul rispetto reciproco e la reciproca comprensione, un dialogo che divenga produttivo sia a livello speculativo che a livello più pragmaticamente economico. Nonostante queste diversità - certamente molto profonde - il mare Mediterraneo ha visto momenti di grandi sincretismi culturali; sui convogli che ne solcavano le acque unendo fra loro sponde lontane non hanno mai cessato di viaggiare anche elementi di cultura; mercanti, artisti, studiosi di ogni razza, religione, colore, lingua solevano incontrarsi nei porti o nelle grandi città cosmopolite dell'epoca per scambiarsi merci pregiate provenienti da mondi ancora più lontani e, con queste, sprazzi di sapere, che non ha barriere e frontiere, creando solidarietà destinate a durare nei secoli.

2. Ricordando questi momenti che appartengono a un passato glorioso per entrambe le civiltà, è inevitabile riandare col pensiero a quel fenomeno del "risveglio islamico", allorché - dietro l'impatto di ideologie europee del secolo XIX (rivoluzione francese, positivismo, romanticismo, socialismi e marxismo) - anche il mondo islamico ebbe la sua naqdha ossia il suo "risorgimento".
E' il periodo di Jamal od-Din al-Afghani e di Mohammed ‘Abduh, è il periodo della rivolta egiziana di ‘Urabi Pashà: dilagano lungo le sponde del Mediterraneo le correnti di pensiero che vanno sotto l'etichetta tradizionale di "panislamismo" e "panarabismo"; più ad oriente il panturchismo e il panturanesimo infiammano milioni di popolazioni asiatiche.
In questa prima fase, la moschea gioca un ruolo fondamentale: punto di raccolta dei fedeli, diviene il centro di riflessione e diffusione capillare in ogni angolo più remoto, più inospitale e desertico dell'ecumene islamica di queste correnti di pensiero.
Non vi è dubbio che gli input europei hanno giocato in larga misura nel risveglio dell'Islam mediterraneo, forgiandone le nuove classi, che sarebbero state destinate a prendere il potere fra le due guerre mondiali e ad assumere la leadership di questo risveglio islamico, che dalla autonomia all'interno dell'Impero Ottomano doveva portare alla indipendenza dal nuovo giogo delle Potenze europee espressosi nella figura giuridica del Mandato con il crollo dell'Impero turco. Si viene così creando una nuova classe politica, certamente elitaria, ben presto classe dirigente di artificiosità territoriali - stati islamici nati dopo la Prima Guerra Mondiale: Siria, Libano, Iraq, Palestina, Transgiordania/Giordania, Libia, ecc. Si tratta di classi dirigenti variamente legate all'Occidente, ai suoi modelli statuali democratici di repubblica parlamentare e monarchia costituzionale, alla sua ricchezza, alla sua superiorità tecnologica e militare.
La nascita di stati "islamici nazionali" nel periodo fra le due guerre mondiali portò indubbiamente anche alla affermazione di un principio nuovo di identità su base "nazionale" etnico-culturale che trovava il suo comune denominatore nell'Islam. L'Islam si propose come il vero e solo fattore di coesione nazionale e religiosa al tempo stesso; di questa atmosfera e di questo dibattito politologico sono ancora oggi brani più che eloquenti gli scritti di Mawdudi, fra cui mi limito a ricordare Lo spirito nazionalista e l'Islam, e di Sayyid el-Qutb, particolarmente significativo è Il potere politico nell'Islam.
In questo contesto culturale e politico al tempo stesso, si venne definendo sempre più una nuova forza islamica, un Islam d'opposizione, il quale perlopiù si identificò con "gli esclusi dal potere" (e dai privilegi e benefits che questo sempre comporta). Nascono i due grandi movimenti-associazioni dei Fratelli Musulmani a occidente, e della Jami'at-e-Islami a oriente. Padri fondatori e spirituali - i cui scritti ancora circolano in tutta l'ecumene islamica e rappresentano la base di tutte le dottrine e correnti anche militanti - sono Hasah el-Bann (Mohammediyyah, 1906 - Cairo, 1949), Sayyid el-Qutb (Mohsa, 1906 - Cairo, 1966) e Sayyid Abu al-A'la al -Mawdudi (Awrangabad, Pakistan, 1903 - 1979). Le leaderships vengono accusate di essersi troppo legate e vendute all'occidente, interessate esclusivamente a se stesse e al proprio potere e benessere, venendo meno a quelli che sono i compiti fondamentali della Autorità che eserciti i Poteri secondo shari'ah per il benessere della società. In altri termini, queste vengono accusate di essere corrotte e corruttrici, di essere deviate dalla retta via quale posta da Dio agli uomini, di non vedere altro che il proprio tornaconto personale; ad esse si imputa l'arretratezza delle masse, la sua povertà e miseria anche culturale; si invoca il sacro diritto della risoluzione del "patto" su cui si basa ogni Autorità e Potere, di quel "patto" concluso fra la società dei credenti e coloro che essa liberamente sceglie ed elegge a guidarla. Non si rifugge dal tirannicidio e dall'azione violenta per restaurare la legge di Dio, la giustizia sociale e quella economica.
Il pensiero militare acquista grande centralità nei movimenti dell'immediato secondo dopoguerra. Lo studio della società non è più privilegio della scienza politica in quella intima connessione fra religioso-politico-sociale e militare che aveva caratterizzato il pensiero precedente. La ragione militare impone alla dottrina un impegno nuovo in una considerazione del tutto nuova della convivenza sociale. E' il momento delle rivoluzioni militari che, negli anni ‘50-'70, porteranno al potere colonnelli e generali in quasi tutti i Paesi dell'arco mediterraneo. E' il momento del grande trionfo dell'Islam riformista della Associazione dei Fratelli Musulmani e della Jami'at-e Islami di Mawdudi.
Il riferimento al Corano e alla Tradizione restano i temi centrali del nuovo dibattito ideologico, come sempre centrale è il ruolo del religioso. La sovranità e la sua natura divina non vengono mai messe in discussione neppure negli ambienti politici e/o militari di formazione occidentale; si mettono in discussione l'operato (o il mal-operato) degli uomini che ne sono stati pessimi esecutori e amministratori.

3. Ma anche questa generazione si brucerà rapidamente, e verrà meno ancora una volta a quelle promesse che la avevano portata al potere.
Il periodo della guerra fredda consentirà a queste nuove leaderships di continuare a detenere il proprio potere - nonostante nuove crescenti tensioni interne - proprio grazie agli equilibri/squilibri internazionali determinati dal bipolarismo. In Asia, l'ordine asiatico assicurato cinicamente e pragmaticamente da Stalin con confini arbitrari e deportazioni in massa di interi gruppi etnici assicurerà tuttavia a questa regione circa mezzo secolo di stabilità interna. Ma lungo l'arco mediterraneo le tensioni sfoceranno in un susseguirsi di violenza, cui il vuoto di potere determinato dalla fine del bipolarismo conferirà dimensioni globali.
"La fine dell'equilibrio bipolare ha segnato la sua sostituzione con un nuovo tipo di disordine, piuttosto che un ‘nuovo ordine' internazionale" - come afferma Dan Segre (1) - "e mantiene uno stato di instabilità in Medio Oriente. Esso si ripercuote su una vasta zona mediterranea, in cui molti Paesi europei (fra cui l'Italia ovviamente) hanno interessi storici e particolari".
Questa fase estremamente delicata assiste a un nuovo insorgere del jihad, come strumento tattico anche pacifico, sia per mantenere stabilità interna e credibilità al potere (jihad del potere), sia come strumento eversivo per destabilizzare le attuali dirigenze in una interpretazione riduttiva e radicale delle prescrizioni coraniche (jihad dell'opposizione, o jihad bi'l-sayf fi sabil Allah).
E' pertanto in questo periodo di crisi e di transizione particolarmente drammatica "anche" per il mondo islamico che mi pare vada posto il quesito della "sua" sicurezza.
Saltato il modello statuale socialista, che nella dottrina islamica aveva trovato terreno fertile per una sua valida dogmatizzazione e attuazione (il "socialismo islamico" di Naser (1918-1970) e Gheddafi, le dottrine del "corporativismo", ecc.), l'Islam si trova profondamente diviso al suo interno; è drammaticamente frazionato fra gruppi al potere - a questo radicati e del tutto renitenti a volerlo condividere con altri - e gruppi all'opposizione. Quest'ultima, a sua volta, rifacendosi a questa o altra corrente ideologica, postula una guerra (jihad) senza quartiere contro eretici, devianti e deviatori, corrotti e corruttori, una guerra che non può giungere né a compromessi con gli stessi gruppi islamici più moderati, né tantomeno accettare le transazioni che questi hanno avuto e continuano ad avere con l'Occidente, il grande Satana della corruzione di cuori e di costumi. L'obiettivo finale è la lotta per il potere e per il rovesciamento e annientamento sia dell'establishment corrotto che di quanti si sono compromessi con questo establishment.
Calamità naturali, quali siccità ed epidemie, l'incredibile crescita demografica hanno fatto ulteriormente precipitare la drammaticità di una situazione che ci riserva quotidianamente migliaia di vittime.
La vera minaccia alla sicurezza dell'Islam non nasce quindi tanto dall'esterno, ossia da una possibile aggressione europea, quanto dell'interno.
Nessun paese europeo ha ancora ambizioni coloniali di tipo territoriale. Il grande fenomeno coloniale europeo si è concluso nel 1991 con la disintegrazione dell'Impero sovietico e la nascita di nuove entità statuali indipendenti.
E di questo le leaderships attuali hanno lucida percezione.
Dovendo pertanto tentare una classificazione, molto schematicamente si può fare una prima distinzione fra:
- minacce di natura militare;
- minacce di altra natura.
Per quanto riguarda le minacce di natura militare, queste possono configurarsi in:
- aggressioni di tipo convenzionale;
- conflitti regionali;
- proliferazione nucleare, chimica, biologica;
- terrorismo.
Circa le aggressioni di tipo convenzionale, mi limito a rimandare ai recenti conflitti della Guerra del Golfo, dell'eterna Questione Afghana, alle vicende del Sud Sahara ecc. Si tratta di aggressioni di tipo convenzionale, di conflitti circoscritti regionali. Queste possono avere serie conseguenze destabilizzanti non solo per i Paesi direttamente interessati, ma anche per attori non direttamente coinvolti, per i possibili riflessi economici regionali o out-of-area e/o strategici, qualora si tratti di paesi nei cui confronti vi siano in gioco precisi interessi di natura economica (le vie del petrolio per l'Afghanistan, ad esempio, o la droga; sempre il petrolio per la Libia e l'Algeria, ecc.) e/o strategica (è il caso dell'Egitto, ad esempio, crocevia di tre continenti, o della Turchia). Un altro impatto particolarmente gravoso potrebbe anche provenire da flussi migratori da parte di gruppi in fuga che siano - o si sentano - minacciati da uno o altro gruppo nemico. Si determina così la dolorosissima piaga dei "rifugiati", molto difficile a gestirsi. Il paese "ospitante" si vede così sommerso da migliaia e migliaia di nuovi diseredati, sradicati dal loro contesto culturale per salvare nulla più che le proprie vite, affamati, nulle le condizioni igienico-sanitarie, fonte solo di nuovi disordini, malessere sociale, povertà e tanta altra miseria.
Per quanto riguarda la proliferazione nucleare o l'uso di altre armi di distruzione di massa, un pericolo reale non sembra oggi esistere. Si può profilare solo nel caso che alcune di queste armi si trovino nelle mani di un esaltato (o di un piccolo gruppo di esaltati), che decidesse di farne uso per dimostrazione di potenza o vendetta personale.
La vulnerabilità naturalmente esiste, ma la superiorità militare dell'Occidente non esiterebbe a interventi di dissuasione e a ritorsioni tali da polverizzare "il" o "i dissennati" che ricorressero a simili misure estreme.
Per quanto riguarda il terrorismo, questo esiste, è una minaccia concreta sia nei confronti di cittadini occidentali che operino nei paesi ove il fondamentalismo militante è molto attivo ( come l'Algeria o l'Egitto) sia nei confronti della propria gente contro cui questi gruppi militanti proclamano jihad; comunque sia, le azioni terroristiche si esplicano sia che l'obiettivo si trovi nel Paese sia che questo si trovi all'estero. In quest'ultimo caso si ha un fenomeno di "esportazione" di terrorismo. E' un fatto che, nella attuale strategia della destabilizzazione, il terrorismo è una tattica che ha sempre più largo impiego. Ogni punto della terra può essere base di impiego, sia che il terrorista voglia colpire il "nemico per eccellenza", ossia l'Occidente nella sua occidentalità e superiorità tecnologica, sia che egli voglia usare il territorio occidentale come base operativa proprio nel quadro di quella strategia di destabilizzazione interna ai diversi gruppi di provenienza per combattersi fra di loro.
L'incredibile afflusso di nuove fonti di ricchezza "illegale", e quella formidabile palestra di addestramento alla guerriglia (e al terrorismo) che è l'Afghanistan da circa venti anni, hanno immesso sul mercato internazionale dei "guerrieri di Dio" "arabo-afghani" disposti a battersi - con precisione e competenza - in più di un teatro. Estremamente mobili, sono truppe mercenarie di comprovata esperienza, che si spostano rapidissime a piccoli gruppi da una regione all'altra, mettendo il loro mestiere al servizio di questo o quel gruppo sovversivo. Sono molto difficili da controllare e la loro mobilità ne rende ulteriormente difficile l'individuazione e l'arresto dopo il misfatto. Sono presenti in Egitto, dove hanno largamente fornito quadri alle fasce militanti della Associazione dei Fratelli Musulmani, al-Jihad e la Jama'ah al-Islamiyyah, che stanno ottenendo alcuni successi nell'Alto Egitto nonostante la vigilanza delle Unità di Sicurezza.
Le strategie di questo radicalismo egiziano non cambiano rispetto al passato: i Fratelli Musulmani continuano a perseguire le proprie strategie di rovesciamento del regime di Mubarak, accusato di apostasia e di tradimento, e si prefiggono la rifondazione dello stato egiziano su basi genuinamente islamiche. L'obiettivo viene perseguito in maniera pragmatica, attraverso una capillare opera di penetrazione, propaganda e reclutamento da tutte le fasce della società, in particolare modo da quelle oggi escluse dai vertici del potere. L'opposizione più moderata agisce attraverso strumenti legittimi, quali le stesse istituzioni democratiche del Paese (Assemblea del Popolo, Associazioni sindacali, Associazioni studentesche, municipalità, moschee, ecc.). I gruppi "militanti", viceversa, postulano l'immediata caduta del regime con il ricorso a forme di lotta armata e azioni terroristiche; rifiutano ogni possibile trasformazione graduale della società egiziana o di dialogo; la loro base dottrinale è quella classica, in particolare il pensiero di Ibn Taymiyyah e di Sayyd al-Qutb. Oggi si stanno affermando due nuove interessanti personalità di pensatori: Abd al-Salam Faraj e Shukri Mustafà. Come si è detto, gli obiettivi di questi oppositori radicali del regime egiziano sono la sua caduta immediata, con conseguente purificazione di tutti quei settori della società contaminati oppure ostacolanti l'affermazione dell'Islam "vero" (comunità copte, ambienti religiosi filo-governativi, giornalisti, musulmani non osservanti soprattutto fra le professioni, ecc.); restano una costante di questo fondamentalismo: l'ostilità nei confronti dell'Occidente, visto nella sua versione più minacciosa alla maniera di Huntington (clash of civilizations), e di Israele, braccio infido e armato dell'Occidente.
Coerentemente con le impostazioni ideologico-dottrinali ne consegue una strategia della violenza, fisica e psicologica, una strategia del terrore, che ha come obiettivi più immediati l'assassinio del Presidente stesso e dei suoi Consiglieri più fidati e vicini, la rimozione violenta dei funzionari governativi più fedeli al regime (o tali ritenuti), l'annientamento violento di membri delle Forze Armate e dei Servizi di Sicurezza, l'annientamento di infrastrutture economiche e governative (per minare la stabilità economica dello Stato). Una nuova tattica è quella di colpire strutture turistiche e i turisti stessi (verosimilmente per indebolire l'economia del Paese, fortemente sostenuta dalle entrate dal turismo, e per colpire l'Occidente stesso - indirettamente - in una delle sue versioni più decadenti). Altro obiettivo di questi gruppi sono gli scrittori, gli intellettuali, gli insegnanti, i giornalisti... e quanti a loro sembrano opporsi con fatti e con scritti all'Islam radicale. Un'altra espressione di questo radicalismo è costituita da un irrigidimento dei costumi in senso rigorosamente coranico (velo per la donna, abiti castigati, barba per gli uomini, niente alcolici, ecc.): si tratta più che altro di fatti simbolici di una mentalità estremamente rigida e conservatrice, castigatrice di quelle manifestazioni imitate dal costume occidentale considerate a loro volta simbolo di decadenza e corruzione.
Non dissimile da quello egiziano è il nuovo volto del fondamentalismo algerino, dove il Fronte Islamico della Salvezza (FIS) ha coagulato attorno a sé vaste fasce della popolazione, sia fra le masse rurali e dei diseredati sia fra quegli "esclusi" dal potere, perlopiù appartenenti alle professioni (medici, architetti, ingegneri, matematici, ecc.).
Ponendosi come alternativo alla attuale leadership, ne denuncia apertamente il fallimento politico, economico e sociale. Ma, per quanto riguarda l'Algeria in particolare, non vanno sottovalutati i particolarismi etnico-culturali, in particolare l'eterna frattura fra elemento berbero ed elemento arabo (esempio della Giordania).
Per quanto riguarda le minacce provenienti alla sicurezza da parte di eventi non militari, queste non sono affatto da sottovalutare, anche per i possibili riflessi su noi Europei.
Queste possono configurarsi come:
- forti flussi migratori dovuti a qualche causa destabilizzante l'ordine tradizionale;
- la pressione demografica.
Per quanto riguarda le migrazioni improvvise, e superiori a quanto è metabolizzabile, potrebbero provocare gravi riflessi sia sull'ordine pubblico interno, sia come possibile radicalizzazione della lotta politica interna, sia come fattore sopraggiunto, che potrebbe provocare lo spostamento dello stesso asse politico interno verso nuove forze politiche e nuovi imprevedibili equilibri. A ciò si aggiungano i già ricordati disastri provocati dai "rifugiati" nel contesto di economie già estremamente impoverite (caso dei Palestinesi).
Per quanto riguarda il fattore demografico, l'esplosione demografica dell'Islam è un fatto incontestabile e statistico. E' una realtà drammatica al tempo stesso. Essa alimenta la povertà, la disoccupazione, e, come si è detto, rende il terreno particolarmente fertile alla diffusione di ideologie estremiste e radicali. A questo va aggiunto il fenomeno dell'urbanizzazione selvaggia e dell'ammassamento di popolazioni in megalopoli, dove si vengono determinando condizioni di vita sub-umane ed altamente esplosive, come nei settori dell'approvvigionamento idrico, dell'elettricità, della sanità, dell'igiene, della alimentazione, ecc. L'urbanizzazione accresce le difficoltà dello sviluppo, è causa di tensioni e di disordini, è spesso causa di epidemie. Il rurale si sente emarginato; abbandonato torna a rivolgersi alla moschea, si rifugia nel religioso alla ricerca di valori, istituzioni e servizi che il centro non è più in grado di offrire. L'esplosione demografica aggrava ulteriormente la drammaticità di situazioni economiche già difficili, creando un sottoproletariato urbano fatto da disoccupati, diseredati e umiliati. A questi si affiancano gli "esclusi dal potere", ossia i medici, gli ingegneri, gli architetti, gli insegnanti, la giovane generazione degli istruiti che non hanno né futuro né prospettiva alcuna di un futuro adeguato alle loro ambizioni; questi vorrebbero battersi in nome di quegli ideali di pace, giustizia sociale ed economica, che pur avevano portato al potere la presente classe dirigente e la sua "clientela". E questi "esclusi" - oggi - si uniscono alla grande massa del sottoproletariato urbano dei diseredati, confluendo nelle file del radicalismo militante e sovversivo. Nell'Islam cercano non tanto la fede, quanto quell'insieme di valori politico-sociali ed economici in grado di rivitalizzare una società stremata dagli abusi e consentire al Paese una ragionevole via allo sviluppo.

4. A questo punto, il neo-fondamentalismo si ripropone come elemento di ordine, di coesione "nazionale", di giustizia sociale, di ordine sociale e di sviluppo economico, di statualità, stato territoriale e "nazionale-islamico" al tempo stesso.
Ma, a questo punto, esso deve tornare a guardare all'Occidente. E, a questo punto, l'Occidente - l'Europa - torna a guardare all'Islam in quella che può diventare una costruttiva convergenza di forze e interessi comuni nel nome della comune sicurezza.
Si impone la prosecuzione di un dialogo con le forze più moderate; col terrorismo non può esserci - da parte dell'Europa - né dialogo né tolleranza.
Quanto i Paesi islamici chiedono oggi all'Europa, in nome di una sicurezza comune, è di assumere un ruolo più definito, più incisivo, distinto dalla azione politica degli Stati Uniti. Pur preso atto che gli Stati Uniti - venuto meno il "polo" sovietico nel 1991 - sono oggi la unica, incontrastata superpotenza militare, all'Europa si chiede di colmare il vuoto di potere lasciato dall'URSS con una presenza che sia di ordine e collaborazione al tempo stesso. Si chiedono cioè quegli interventi in materia economica e culturale ritenuti ormai indispensabili per una certa stabilità interna.
Questo ruolo deve avvenire attraverso il rispetto reciproco e il dialogo, attraverso accordi bilaterali o nel contesto di organismi regionali.
Obiettivo prioritario è una azione culturale che miri a rivalutare ed enfatizzare agli occhi della popolazione tutta i momenti di intesa, amicizia, collaborazione aldilà delle diversità di fede. Si riscopre e ristudia il passato comune, un passato che vede riaffiorare delle vere e proprie perle, come le intese di Berta di Toscana o la cosiddetta "crociata" a Gerusalemme di Federico di Heunstauffen, che diedero al Mediterraneo una vera e propria centralità cosmopolitica; oppure si ristudiano i patrimoni archivistici, e da antichi documenti polverosi emerge l'immagine di una corte siciliana, splendida e brillante, ove astronomi, poeti, geografi e scienziati provenienti da tutto il mondo discutevano all'ombra della generosità illuminata di Ruggero; non meno brillante per liberalità, ingegni e opere d'arte era la Andalusia con le sue corti principesche musulmane; sui mari, Venezia e Genova dominavano: l'Egitto e la Siria - sia che cadessero in mano ai cristiani oppure ai musulmani - per l'intraprendenza di veneziani e genovesi erano grandi centri di traffici; nei porti di Alessandria, Damiata e Beirut, sui mercati del Cairo, Damasco ed Aleppo, le navi veneziane portarono per tutto il basso Medioevo i prodotti dell'Occidente, legnami e metalli, olio e vini, miele e frutta, ambra e corallo, pellicce, lane, stoffe e manufatti di lusso come argenterie e cristallerie; e compiuto lo scarico, le navi ripartivano cariche di nuove merci per l'Europa, con datteri, lini e altri tessuti d'Egitto, ma, soprattutto, con le celebri spezie delle Indie, le preziose sete dell'Oriente, e i suoi velluti, broccati e tinture, avorio, perle e altre pietre preziose, ma, sopra a tutto, merce pregiatissima, schiavi - giovinetti e donne tartare. E mentre le grandi ideologie medioevali si avviavano al tramonto, sul Mediterraneo restavano gli eterni valori della pratica e della mercatura.
E a questi valori l'Islam intende tornare oggi guardando all'Europa:
a) giungere a intese più solide, che contribuiscano al rafforzamento delle forze islamiche moderate, contro quelle frange militanti - poche centinaia di uomini - che mirano a sovvertire con la violenza l'ordine del paese, e che stanno insanguinando di vittime villaggi e sobborghi urbani;
b) alleggerire il problema demografico; ciò implica - per l'Europa - evitare a sua volta il riversarsi sul proprio territorio di ondate di emigrati, altrettanti emarginati fonte solo di disordine ulteriore. In tale direzione, una delle politiche su cui ci si sta muovendo è quella di rafforzare le economie locali con investimenti mirati, onde consentire a questo surplus demografico un maggiore assorbimento nei Paesi di provenienza;
c) al problema demografico, si associa strettamente il problema - o catastrofe in taluni casi - ecologico indotto spesso da un iper-sfruttamento (o da uno sfruttamento dissennato) delle risorse idriche disponibili. In questo settore sono in corso programmi di collaborazione e aiuti per lo studio dei problemi idrici sia su piano tecnico che su piano istituzionale: la diplomazia dell'acqua, e la regolamentazione delle acque presenti sul territorio e lungo territori confinanti (Giordano);
d) formazione di quadri tecnici;
e) dialogo inter-religioso, che aiuti la distensione, la comprensione, il dialogo e la coesistenza di gruppi di credo religioso diverso sul medesimo territorio.



(*) Conferenza tenuta a Roma il 25 settembre 1997, nell'ambito del Seminario Italia-Uzbekistan.
(1) D.V. Segre (a cura di), Società civile e processo di pace in Medio Oriente, Milano, 1996, p. 10.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA